Ho appena finito di leggere le parole di Elisabetta Canalis riguardo alla sua terribile perdita e non ho potuto non pensare a quanto è successo poche settimane fa ad una delle mie migliori amiche. Una gravidanza durata quasi 7 mesi che si è inaspettatamente conclusa nel giro di pochi giorni.
Una tragedia, un caso su un miliardo, come ha detto il medico. Un virus, di quelli che se li prendi nemmeno te ne accorgi, che è passato da madre a figlio e che ha portato alla fine della vita quest’ultimo. Un controllo di routine, un dubbio del medico, un’ecografia, il battito che non c’era più, il ricovero d’urgenza, la notizia che ha scovolto i genitori. E poi l’attesa di due giorni per il parto… cesareo o non cesareo? Cerimonia o non cerimonia? E il dolore fisico di un post parto che mai, fino a qualche giorno prima, si poteva immaginare. Il fisico che si aggrava, il rischio trombosi, varie infezioni, la dimissione ed i punti che tirano.
Poi finalmente i genitori, dopo più di una settimana di ospedale, tornano a casa e trovano i regali di amici e parenti per il bambino. Ritrovano i lavoretti che stavano facendo per lui, i piani per la casa nuova, le ferie prese ormai da cambiare, la notizia che sanno di dover dare agli amici e ai colleghi che ancora non sanno nulla e il dolore che senti addosso come un vestito troppo stretto.
Devono ripartire e lo sanno. Ma come? Con quale forza? Come si fa quando hai un dolore dentro così grande, quando tutto ti ricorda quella vita che tanto avevi sognato e che non potrai avere?
Si riparte da qui e basta. Come dicono loro: “Ripartiamo da noi”, dal loro amore, dalla loro coppia, da quello che sono stati e che saranno, dal dolore che li accomuna e che li fa stringere ancora di più, dai sogni infranti e dalle speranze che però, ancora esistono, per il futuro.
Noi amici non possiamo fare nulla, non possiamo stare loro vicini fisicamente, perchè vogliono la loro privacy. Al telefono o si negano o si cerca, brevemente, di parlare di altro, forzatamente. E’ come la storia dell’elefante nella stanza, espressione inglese per spiegare quelle situazioni in cui c’è un problema molto noto ma di cui nessuno vuole discutere.
Da amica, da mamma, soffro con lei, certa di capire, almeno un po’, il suo dolore. La vorrei abbracciare e cancellarle i ricordi brutti, dirle che andrà tutto bene e prendere un po’ di quella sofferenza e mettermela nel petto per alleggerirle il suo… ma non posso, non è possibile, non me lo permette per pudore.
“Quando starò fisicamente bene e mi sentirò meglio, ci vedremo”. Lo capisco, condivido il suo pensiero, anche io sono così, come un animale che si nasconde nella tana e si lecca le ferite. L’impotenza dell’amico fraterno si scontra con l’amara realtà: lei e lui sono da soli e devono riprendersi, piano piano… solo dopo, potrai aiutarli a svagarsi, a portare gli scatoloni delle cose per il bimbo in cantina, a ricostruire mattoncino dopo mattoncino, la loro esistenza. Ora però, tu, amico, puoi solo rispettare il silenzio che ti hanno imposto e aspettare un cenno, cercando pure tu di superare il dolore che senti, perchè pure tu, amico, stai male. Pure tu l’aspettavi, pure tu fantasticavi sul tuo “nipotino”, pure tu sognavi il giorno in cui l’avresti visto, pure tu parlavi di lui a tua figlia dicendo che sarebbe presto arrivato il “cuginetto”. Quando sei un amico fraterno, davvero l’unica cosa che manca all’essere un fratello, è il sangue. Il resto c’è tutto.
Un grande augurio quindi alla mia amica e a suo marito e a tutti i genitori che soffrono per questa perdita, compresa Elisabetta Canalis e il suo compagno. Quando c’è il dolore, la notorietà non conta nulla, siamo tutti nudi e inermi davanti alle tragedie.
Autore: Federica Alderighi