Timidezza in età evolutiva: alcune strategie per comprenderla ed affrontarla

Andare a una festa di compleanno , salire sul palco per la recita di fine anno, o semplicemente fare una chiacchierata con un gruppo di compagne sono attività comunemente ritenute piacevoli, ma che per alcuni bambini o ragazzi possono costituire, al contrario, una vera e propria tortura.

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In questi casi di solito si parla di timidezza o di riservatezza e la si considera una componente del carattere più o meno transitoria, ma in ogni caso non tale da destare particolari preoccupazioni. In molti casi questo corrisponde alla realtà; tuttavia è molto importante operare una distinzione.

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Come aiutare i più piccoli a destreggiarsi tra le loro emozioni più difficili

Nella delicatissima ed appassionante fase di vita che prende il nome di età evolutiva sono tante le sfide che il bambino, e con lui i suoi genitori ed educatori, si trovano ad affrontare.

Tra il dire e il fare

 

Cambiamenti piccoli e grandi, richieste crescenti dell’ambiente, esperienze vissute, immaginate o temute interrompono, a volte bruscamente, il ritmo regolare e rassicurante della vita quotidiana.

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Imparare a stare “attenti”: strategie di Mindfulness con i più piccoli

“Stai attento!”

“Ma possibile che tu non stia mai attento?”

“Se tu stessi un po’ attento…”

Quante volte ci capita di pronunciare parole di rimprovero di questo tipo?

“Stai attento”: siamo certi che i nostri piccoli interlocutori capiscano esattamente cosa stiamo chiedendo loro? E poi, siamo sicuri che siano davvero sempre capaci di soddisfare tale richiesta?

Provate a fare questa domanda ad un bambino: “cosa significa, secondo te, stare attento?”. Vi renderete presto conto di come il concetto di attenzione venga spesso messo in relazione con la scuola (e tutto ciò che ha a che fare con essa: lezioni da ascoltare, verifiche da fare, materiale da studiare, compiti da eseguire…) e spesso, al rimprovero.

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“Perché ti ha sgridato la maestra?” “Perché non ero attento”. Un classico!

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Mindfulness: scegliere di stare QUI, ora!

A molti di voi sarò capitato di sentire nominare la parola “mindfulness”. Sono sempre più numerosi, infatti, gli articoli a questo proposito, ormai diffusa la sua applicazione in ambiti differenti e molte le ricerche a sostegno della sua efficacia. Ecco quindi uno spazio dedicato anche all’interno di questo blog.

Proviamo a definire meglio di cosa si tratta e, soprattutto, proviamo a capire perché ritengo possa essere un argomento interessante per le famiglie di Family Life!

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NON SOLO “CAPRICCI”

Tu lo assecondi troppo! Se andiamo avanti così, ci avrà in pugno!

-Tu invece sei troppo duro…non vedi quanto ci tiene? Cosa ti costa per una volta fare quello che ti chiede?

Edoardo, in un commento al mio primo post scrive:

Vi suggerisco un argomento da neo papà: la gestione dei capricci quando mamma e papà la “vedono” in modo diverso”

Perfetto, colgo il suggerimento perché credo che Edoardo rifletta un bisogno di molti. Una delle maggiori difficoltà che il genitore incontra è infatti proprio quella di trovare la giusta modalità di risposta a capricci e scoppi emotivi dei bimbi. Quanto spesso capita che mamma e papà abbiano idee diverse su come reagire? Assecondare, ignorare, rimproverare…

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Il tempo libero insegna!

E’ meglio che i bambini abbiano un’agenda fitta di impegni o che passino parte del loro tempo gestendosi autonomamente?

Si colloca all’interno di questo dibattito che anima mamme e papà un recente studio fatto da ricercatori del dipartimento di Psicologia e Neuroscienze dell’Università di Boulder, in Colorado, e pubblicato sulla rivista Frontiers in Psychology.

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Allenare la capacità di essere “PRESENTI”

“Tra stimolo e risposta c’è uno spazio. In quello spazio si trova il nostro potere di scegliere la nostra risposta. Nella nostra risposta risiedono la nostra crescita e la nostra libertà”.

V. Frankl

In quello “spazio” il genitore ha infinite possibilità di sperimentazione e apprendimento. E’ lo spazio in cui sceglie di attuare un determinato comportamento e che gli offre la possibilità di imparare ad essere il genitore che desidera.

Se parliamo di genitori e figli, lo “stimolo” è il comportamento del bambino, ciò che dice, le emozioni che esprime o non esprime. La “risposta” è ciò che il genitore fa di conseguenza.  I ruoli, ovviamente, possono essere invertiti.

Spesso le risposte sono “reazioni”, ossia comportamenti non propriamente scelti ma caratterizzati da scarsa consapevolezza e intenzionalità; a volte somigliano a veri e propri riflessi, ossia a reazioni involontarie in risposta ad uno stimolo esterno. Rende bene l’idea l’espressione inglese “knee-jerk reaction” che fa riferimento al riflesso patellare, ossia al quel riflesso per il quale rispondiamo con un’estensione della gamba ad un leggero colpo sotto il ginocchio. Stimolo, reazione. Nessuna scelta, nessuno spazio tra comportamento e ciò che lo scatena.

In alcuni momenti è proprio come se venisse premuto un pulsante di accensione: il pulsante della rabbia e del rimprovero, il pulsante del senso di colpa e delle scuse, il pulsante della paura e del correre in soccorso. Altre volte il meccanismo somiglia di più a quello che fa funzionare le automobiline a carica: carico, carico, carico (di paura, di rabbia, di fastidio, di tristezza, di senso di colpa…) e poi parto a gran velocità in risposta all’emozione, in una direzione, senza nessuna capacità di raggirare gli ostacoli e di rispondere alle contingenze, scontrandomi con ciò che incontro mentre vado dritto per la mia strada.

Se avete letto il post precedente e se avete provato ad osservare il vostro comportamento con sguardo curioso, forse riuscirete ad identificare alcuni esempi che riflettono questo tipo di meccanismo. Se non l’avete già fatto provateci ora!

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Tra il dire e il fare: Troviamo un punto di partenza!

In tutte le relazioni, e quindi anche in quella genitore-figlio, si osserva spesso la ripetizione degli stessi comportamenti anche se l’esperienza ne dimostra la scarsa utilità. Quante volte capita di mantenere la stessa strategia educativa anche se non è mai servita a nulla? Quante volte succede di ripetere con insistenza le stesse raccomandazioni senza il minimo risultato? E di punire comportamenti senza riuscire davvero a far sì che il bambino ne adotti in futuro uno migliore? Quante volte provate a consolare senza ottenere nessun beneficio? Se funzionate come la maggior parte degli esseri umani, avrete risposto ad almeno alcune delle domande con un “qualche volta” o “spesso”.

Perché succede? Non si dovrebbe imparare dagli errori?

Succede perché, in generale, è difficile cambiare. Lo è per grandi e piccoli allo stesso modo. Le strategie che non funzionano si mantengono perché, da qualche parte, nascondono un vantaggio a breve termine e perché spesso sono vere e proprie abitudini, caratterizzate quindi da scarsa intenzionalità e poca consapevolezza.

Tra il dire e il fareProprio per questi motivi, fornire informazioni  per affrontare le difficoltà che possono essere sperimentate nella relazione genitore-figlio è utile ma non sufficiente: non va infatti data per scontata la capacità del genitore di fare ciò che gli è stato insegnato o consigliato. E’ infatti difficile far sì che riesca ad interrompere le dinamiche che risultano non funzionali e fonte di stress senza che vengano adeguatamente presi in considerazione i suoi pensieri e le sue emozioni; il genitore deve essere “allenato” a notare e modificare comportamenti automatici, a porre l’attenzione su ciò che funziona e cosa no piuttosto che continuare ad agire sulla base di convinzioni rispetto a ciò che un genitore deve o non deve fare. Il genitore non può quindi solo essere “istruito”, deve essere anche aiutato a colmare lo spazio tra il “dire” e il “fare”.

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Genitori si nasce o si diventa?

Sarò un buon genitore?

Quante volte ci siamo posti questa domanda in preda ai sensi di colpa e all’ansia da prestazione?

Fare il genitori è davvero un lavoro duro… quotidiano… che richiede pazienza e dedizione. Ma è anche la cosa più bella che possa capitare ad ognuno di noi perchè,  grazie ai nostri figli, cresciamo  e impariamo ad apprezzare il bello che la vita ci dona.

Recentemente ho partecipato ad una vera e propria Scuola Genitori e lo specialista che guidava l’incontro ci ha fatto rispondere ad una “semplice” domanda”:  Cosa vuoi davvero per i tuoi figli?
Senza pensarci troppo ho risposto:
“Vorrei che fosse felice; che riesca a raggiungere gli obiettivi che si è prefissato; che diventi un uomo onesto e impegnato nel sociale. Vorrei che riuscisse a divertirsi con poco; che trovasse amici veri e che sia consapevole che i suoi genitori lo ameranno sempre e comunque.”

E voi? Cosa avreste risposto? 🙂

Abbiamo chiesto alla nostra specialistà, la Dott.ssa Paola Pesenti Gritti, un parere a riguardo.

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