In tutte le relazioni, e quindi anche in quella genitore-figlio, si osserva spesso la ripetizione degli stessi comportamenti anche se l’esperienza ne dimostra la scarsa utilità. Quante volte capita di mantenere la stessa strategia educativa anche se non è mai servita a nulla? Quante volte succede di ripetere con insistenza le stesse raccomandazioni senza il minimo risultato? E di punire comportamenti senza riuscire davvero a far sì che il bambino ne adotti in futuro uno migliore? Quante volte provate a consolare senza ottenere nessun beneficio? Se funzionate come la maggior parte degli esseri umani, avrete risposto ad almeno alcune delle domande con un “qualche volta” o “spesso”.
Perché succede? Non si dovrebbe imparare dagli errori?
Succede perché, in generale, è difficile cambiare. Lo è per grandi e piccoli allo stesso modo. Le strategie che non funzionano si mantengono perché, da qualche parte, nascondono un vantaggio a breve termine e perché spesso sono vere e proprie abitudini, caratterizzate quindi da scarsa intenzionalità e poca consapevolezza.
Proprio per questi motivi, fornire informazioni per affrontare le difficoltà che possono essere sperimentate nella relazione genitore-figlio è utile ma non sufficiente: non va infatti data per scontata la capacità del genitore di fare ciò che gli è stato insegnato o consigliato. E’ infatti difficile far sì che riesca ad interrompere le dinamiche che risultano non funzionali e fonte di stress senza che vengano adeguatamente presi in considerazione i suoi pensieri e le sue emozioni; il genitore deve essere “allenato” a notare e modificare comportamenti automatici, a porre l’attenzione su ciò che funziona e cosa no piuttosto che continuare ad agire sulla base di convinzioni rispetto a ciò che un genitore deve o non deve fare. Il genitore non può quindi solo essere “istruito”, deve essere anche aiutato a colmare lo spazio tra il “dire” e il “fare”.
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