Parliamoci chiaro, non che non lo sapessi già, ma quando i medici del centro che frequento a Roma, mi diedero il loro responso, e cioè che soffrivo di DCA e che ero depressa, il mondo mi cadde letteralmente addosso.
Non so spiegare bene il perché ma il fatto che qualcuno mi dicesse la verità nuda e cruda guardandomi negli occhi, con tanto di spiegazioni scientifiche e logiche, è stato come fare una doccia fredda.
Ripeto, non che non sapessi benissimo di essere stata sia anoressica che bulimica in passato e che in quel momento della mia vita stessi affrontando una fase di mangiate compulsive, ma forse è stato come guardarmi dentro allo specchio, come se i miei – pochi – dubbi venissero spazzati via all’istante (la speranza di essere una persona “normale” c’era comunque, anche se in minima parte).
E’ stato come se, faccio un esempio, avessi vissuto una intera vita in una stanza al buio. Sapevo dove fossero i mobili e soprammobili e ne conoscevo la forma e la consistenza, ma poi qualcuno ha acceso la luce e all’improvviso, dopo un iniziale forte dolore agli occhi, ne ho visto con sorpresa anche i colori e aspetto generale.
Ecco, mi sono sentita così.
Anche il fatto che mi avessero detto che ero depressa mi ha molto scioccata. A 4 anni dalla nascita di mia figlia, evento che mi ha portata a prendere 35 kg in 9 mesi (smaltiti ahimè poi in piccolissima parte), pensavo di aver superato quello che io chiamavo “depressione post parto” e che credevo fosse durato per quasi 3 anni. Il bello è che ero anche contenta di come avevo superato quella brutta e lunga fase.
Beh, sentirmi dire non solo che quella non era depressione post parto (“Quella, Signora, dura al massimo 18 mesi, non certo 3 anni!”) ma vera e propria depressione, che non l’avevo quindi superata con il successo che credevo, ma che inoltre ci stavo ancora sguazzando dentro, senza quindi rendermene conto… è stata una grande delusione personale!
Dopo questo fatidico incontro, mi sono chiusa in me stessa (e nella mia stanza… e nel mio letto) per 48 ore. Ho dato la bambina ai miei genitori senza troppe spiegazioni (credo la mia faccia parlasse da sola), alle domande del mio compagno rispondevo con un singhiozzo, e ho vissuto di lacrime e film visti sul computer per due giorni.
Il terzo giorno mi sono svegliata, mi sono alzata, mi sono fatta una doccia e ho deciso che avrei cominciato a combattere contro quella parte di me che mi ha rovinato la vita, che non mi sarei più vergognata di chi e come ero ma che anzi, dovevo andare fiera del fatto che avevo intrapreso un percorso, corto o lungo non aveva importanza, e che ero decisa a portarlo a termine con successo.
Sono passati 18 mesi da quel “terzo giorno” e malgrado il mio percorso non sia ancora finito, so di aver fatto passi da gigante. La maggior parte di questi non sono visibili ad occhio nudo, se ne vedono solo le conseguenze sul piano comportamentale ma, lasciatemelo dire, sono quelli più importanti. Come ad esempio scrivere questo miniblog e parlare tranquillamente con gli amici di questo problema, dell’obesità, dell’anoressia e della bulimia. La verità è che si fa presto a dire che “quel ragazzo è grasso, perché non si mette a dieta?”, “quella ragazzina vomita dopo aver mangiato, ma è stupida?”, “ma perché ti prendi quello schifo di pasticche dimagranti, non vedi che ti fanno male?”, “quella donna è magrissima, non si accorge che le si vedono le ossa?”, ma se tutto fosse davvero così semplice e ovvio, queste persone… l’avrebbero già fatto, no?!
Dietro questi semplicistici interrogativi, c’è un mondo di ignoranza che non voglio assolutamente colpevolizzare, credo però che sia compito di tutti coloro che conoscono questi problemi, diffondere un po’ di conoscenza, che sarà utile a chi ne è a digiuno per aprire gli occhi e magari capire meglio il proprio vicino e a chi ne soffre, per uscire e chiedere aiuto nel modo corretto.
Autrice: Federica Alderighi