NON SOLO “CAPRICCI”

Tu lo assecondi troppo! Se andiamo avanti così, ci avrà in pugno!

-Tu invece sei troppo duro…non vedi quanto ci tiene? Cosa ti costa per una volta fare quello che ti chiede?

Edoardo, in un commento al mio primo post scrive:

Vi suggerisco un argomento da neo papà: la gestione dei capricci quando mamma e papà la “vedono” in modo diverso”

Perfetto, colgo il suggerimento perché credo che Edoardo rifletta un bisogno di molti. Una delle maggiori difficoltà che il genitore incontra è infatti proprio quella di trovare la giusta modalità di risposta a capricci e scoppi emotivi dei bimbi. Quanto spesso capita che mamma e papà abbiano idee diverse su come reagire? Assecondare, ignorare, rimproverare…

I capricci mettono frequentemente in difficoltà perché sono difficili da prevenire, difficili da comprendere e difficili da gestire con efficacia poiché inducono nell’adulto stesso alcune emozioni (nervosismo, dispiacere, rabbia, vergogna…) che rendono più complicata la scelta consapevole del comportamento genitoriale più appropriato, dando il via libera a reazioni poco funzionali. Riprendendo quanto detto nel post precedente, il capriccio costituisce un efficientissimo innesco per quelle che abbiamo definito “knee-jerk reaction”, ossia reazioni automatiche poco flessibili che rischiano di impedire al genitore di fare ciò che funziona e che più è utile per il bambino.

Di cosa stiamo parlando

Prima di dare qualche suggerimento pratico facciamo un passo indietro per chiarire cosa intendiamo per “capriccio”. Per poter avere veramente potere d’azione sui comportamenti e comprensione dei meccanismi che li scatenano e mantengono, le etichette generiche servono generalmente a poco.

Musi lunghi, pianti disperati, urla e suppliche, a volte sono veri e propri scoppi emotivi, incontenibili “crisi di nervi”. In generale, quando usiamo il termine “capriccio”, facciamo riferimento a crisi di collera in piena regola, generalmente scatenate da un “NO”, da richieste o contesti poco graditi al bambino. Ogni frustrazione, grande o piccola, è potenzialmente terreno fertile per un capriccio e, in generale, per manifestazioni emotive anche molto intense.

Spesso vengono etichettate come “capricci” anche le manifestazioni di tristezza che l’adulto giudica immotivate o quelle di paura in assenza di una causa ragionevole (sempre secondo l’adulto). Nel linguaggio comune il termine “capriccio” spesso sottintende una valutazione di irragionevolezza e teatralità, viene spesso utilizzato per indicare tutte quelle manifestazioni emotive che l’adulto ritiene immotivate, in qualche modo simulate o comunque accentuate. Generalmente si assume inoltre che l’ostentare una data emozione abbia una valenza manipolatoria: “piange per evitare la scuola”, “dice di essere preoccupato solo perchè preferisce stare con noi piuttosto che andare alla festa”, “continua a lamentarsi perchè sa che alla fine otterrà il gioco che desidera”.

Proviamo però a lasciar perdere etichette verbali e preconcetti, che possono essere fuorvianti, e parliamo semplicemente di comportamenti. In termini tecnici si utilizza il termine “operazionalizzare” per indicare il procedimento mediante il quale generiche etichette verbali vengono meglio definite elencando comportamenti specifici e osservabili. Ad esempio, cosa intendi quando dici che tuo figlio fa i “capricci”? Piange? Urla? Alza le mani? Si mette in un angolo? Tiene il muso? Dice parolacce? E ancora: quando accade? Cercate di considerare i singoli episodi come eventi a sé stanti, tutti potenzialmente diversi. Ciò che viene genericamente identificato dai genitori con il termine “capriccio” include manifestazioni differenti fra loro: i comportamenti possono variare molto da bambino a bambino e, soprattutto, possono avere cause scatenanti molto diverse. Tutto ciò che etichettiamo come “capriccio” è realmente una modalità manipolatoria intenzionalmente messa in atto da bambini, piccoli tiranni in erba? O, all’estremo opposto, tutte le manifestazioni emotive sono realmente significative e degne di attenzione? Questi i due estremi, un po’ caricaturali, delle possibili interpretazioni genitoriali di fronte a pianti inconsolabili e collera.

Riassumere tutte le manifestazioni emotive di difficile gestione in un’unica, grande categoria, rischia di essere fuorviante e di farvi perdere flessibilità nella risposta. Sicuramente noterete delle costanti: un contesto/situazione tipo con una reazione che potreste prevedere in anticipo con buonissima approssimazione; noterete però anche che situazioni diverse hanno delle specificità.

Lavori in corso al “piano di sopra” del cervello

Rappresenta esperienza comune il non riuscire a comprendere le ragioni di alcune manifestazioni comportamentali ed emotive dei bambini; da qui la tendenza, a volte, a distorcerne erroneamente il significato, ad esempio sottovalutando e minimizzando o, al contrario, patologizzando, pensando che ci sia “qualcosa che non va”.

Spesso quando si cerca la ragione di un comportamento o di un’emozione mostrati da un bambino si trascura un aspetto fondamentale: stiamo osservando un bambino. Dal punto di vista fisico un bambino è evidentemente diverso da un adulto: ha una statura inferiore, ad esempio, ed ha una fisionomia che lo fa identificare, senza ombra di dubbio, come individuo in via di sviluppo. Quando osserviamo i suoi comportamenti dovremmo sempre ricordarci che anche il suo cervello si sta sviluppando. Anche il cervello di un bambino non è uguale a quello di un adulto. Bisogna quindi adeguare le proprie aspettative all’età del piccolo in questione.

Quando cerchiamo di comprendere un dato comportamento ricordiamoci, ad esempio, che tutto ciò che ha a che fare con la capacità di decidere con giudizio, di pianificare, di controllare corpo e emozioni, così come l’empatia e la moralità, dipendono da una parte del cervello soggetta ad un processo di maturazione che fino ai venticinque anni circa di età non può considerarsi completato.

Molto efficace la metafora proposta da Daniel J. Siegel e Tina Payne Bryson nella quale paragonano il cervello ad una casa disposta su due piani: il primo piano è costituito dalle aree del cervello poste più in basso (quelle più “primitive”) che sono responsabili delle funzioni di base (come la respirazione ad esempio), di reazioni e impulsi (che garantiscono risposte immediate in caso di pericolo) e delle emozioni intense (come rabbia e paura). E’ la parte bassa del vostro cervello che vi fa trasalire quando sentite un rumore improvviso o vi fa infuriare quando, per l’ennesima volta, vostro figlio si rifiuta di fare quanto gli è stato chiesto. La parte bassa del cervello è quella che ci “infiamma” e ci rende capaci di agire prima ancora di pensare (fondamentale e assolutamente adattiva in alcune situazioni di pericolo).

E al “piano di sopra”? Al piano di sopra c’è la corteccia cerebrale, in particolare quella porzione posizionata dietro la fronte; essa è sede di processi più complessi, come il pensiero, l’immaginazione e la pianificazione. Quando la parte superiore funziona correttamente siamo in grado di regolare le emozioni, di riflettere prima di agire tenendo conto delle possibili conseguenze, di metterci nei panni degli altri e di comportarci quindi tenendo conto dei sentimenti altrui.

Prendo in prestito le parole degli autori che ho citato:

“A differenza del piano di sotto, più spartano, il piano di sopra è più evoluto ed è in grado di darci una visione più ampia del nostro mondo. Potremmo immaginarlo come uno studio luminoso o una biblioteca dalle ampie vetrate e dai grandi lucernai che ci consentono di vedere le cose più chiaramente.”

“Immaginate che il piano terra di una casa sia stato finito e completamente arredato, mentre il piano di sopra sia ancora in costruzione, ingombro di attrezzi: potete persino vedere degli scorci di cielo dai punti in cui manca ancora il tetto. Ecco, questa è la parte superiore del cervello di vostro figlio: un “lavoro in corso”.”

E’ proprio questo piano alto che è soggetto a maturazione fino alla prima età adulta e che nei bambini, soprattutto in quelli più piccoli, non può funzionare al meglio.

In generale, si ha un funzionamento ottimale quando parte alta e bassa del cervello lavorano in sinergia: la parte alta modula le reazioni di quella bassa e, al contrario, la parte bassa fornisce l’indispensabile componente di materiale emotivo ed istintuale. I genitori possono favorire l’instaurarsi di un livello ottimale di integrazione fra “piano inferiore” e “piano superiore” (possono contribuire alla costruzione di una “scala” che unisca i due piani) modulando però le proprie aspettative: non dimentichiamoci che il piano superiore è ancora in costruzione e che non potrà funzionare sempre al meglio. Proprio per questo motivo ai bambini capita spesso di rimanere “intrappolati” al piano di sotto dando luogo a manifestazioni emotive molto intense, appaiono inconsolabili e inflessibili, si mostrano non empatici e incapaci di prendere decisioni con ragionevolezza.

Molto dipende da quanto la parte bassa del cervello è infiammata: in presenza di forti emozioni di rabbia o paura, è come se il collegamento tra piano basso e alto venisse forzatamente interrotto.

Provate a ricordare un episodio nel quale vostro figlio ha avuto una forte crisi di collera. Magari si è infuriato perché al supermercato non era più disponibile il gioco che desiderava da tanto, oppure perché papà, dopo avergli promesso un pomeriggio insieme, è dovuto scappare al lavoro. In quel momento è servito a qualcosa cercare di spiegargli che non è dipeso da voi? Proporgli un’alternativa, magari ancora più allettante? Rimproverarlo? Porgli dei limiti?

Come comportarsi?

Dipende. Prima di proporre delle strategie bisogna fare un’ulteriore specifica.

Avete individuato una situazione in cui vostro figlio ha mostrato forte rabbia? Cosa avete pensato di quell’emozione? Vi è sembrata eccessiva? Simulata o reale? Una perdita di controllo reale o strategica?

Capricci no grazie

La distinzione tra “piano di sotto” e “piano di sopra” ci viene in aiuto ora per fare una prima distinzione: la crisi di rabbia ha origine al piano di sotto o è manovrata da quello di sopra?

Nel primo caso la sensazione che il bambino “abbia perso la testa” non è così lontana da ciò che realmente sta avvenendo: il bambino sta realmente vivendo un’emozione intensa, anche se la causa scatenante sembra non poterla giustificare, che gli impedisce di trovare una soluzione, di prendere in considerazione le conseguenze delle proprie azioni e i sentimenti degli altri. Il focolaio di rabbia non gli consente di accedere al “piano superiore”.

In questi casi è utile, in prima istanza, cercare di stabilire un contatto emotivo con il bambino attraverso l’assunzione di un atteggiamento amorevole, consolatorio e rassicurante. Il primo obiettivo deve essere quello di ristabilire la calma: lo si può coccolare, trattenere con calma e fermezza per poi allontanarlo dal luogo in cui la crisi ha avuto origine, accarezzarlo, parlargli con calma e dolcezza. La modalità scelta dipende molto dall’età del bambino e dalle sue caratteristiche.

Nell’immediato, infatti, serve a poco provare a correggerlo, rimproverarlo, fargli comprendere quanto il suo comportamento stia creando disagio o proporgli una soluzione. Tutto ciò richiede l’accesso al “piano superiore”, ma ora la scala è sbarrata.

Poi, una volta che l’incendio è stato domato, è possibile cominciare ad utilizzare la logica e rivolgersi al “piano superiore” del bambino diventa la cosa più utile da fare. A questo punto, infatti, il bambino ha ristabilito un sufficiente grado di ricettività che gli consentirà di ascoltare quello che avrete da dirgli a proposito di comportamenti appropriati e non (“non voglio che tu…”; “è sbagliato fare…”; “non voglio che accada di nuovo che…”), proporre alternative e trovare soluzioni (“avresti potuto…”; “sarebbe stato meglio che tu…”). E’ importante anche dare un nome all’emozione e mostrare comprensione: “so che eri molto arrabbiato e che quando ci si sente così è facile cedere alla tentazione di comportarsi male, ma…”

Alzare la voce, rimproverare o punire quando la crisi è in atto è come gettare benzina sul fuoco. Potreste obiettare: “certo, ma si sta comportando male ed è giusto fargli capire che non si fa”. Vero, ma se l’obiettivo è quello di fargli capire che non si fa e offrirgli un occasione per individuare alternative comportamentali più funzionali, meglio posticipare l’intervento. Ciò non significa rinunciare ad insegnare la disciplina, ma semplicemente rimandare l’intervento correttivo (ugualmente autoritario e fermo) in un momento nel quale il bambino è più disponibile all’apprendimento. Quando il bambino è più tranquillo ha la possibilità di imparare qualcosa, quando è preso in ostaggio dalla collera no.

Se provate a trovare episodi simili nella vostra esperienza personale, vi accorgerete che non solo i bambini, ma anche gli adulti, fanno esperienza di emozioni forti che mettono completamente fuori gioco la capacità di essere razionali e di agire in maniera assennata. Vi è mai successo di infiammarvi per questioni di poco conto e di agire in modo decisamente diverso da ciò che ritenete più opportuno? E se qualcuno in quel momento vi avesse corretto o vi avesse detto che stavate sbagliando tutto? Avreste accettato il suggerimento o vi sareste sentiti ancora più arrabbiati? Passato il momentaccio, probabilmente, sareste invece stati in grado di ammettere l’errore e accettare buoni consigli.

Esistono però crisi di collera che, sebbene possano apparire simili nelle manifestazioni a quelle appena descritte, hanno un’origine completamente diversa. A volte i bambini (e non solo loro) scelgono una modalità melodrammatica per ottenere vantaggi secondari. In questo caso la crisi ha origine al “piano di sopra”. Ci sono alcuni indizi che posso far sospettare che non si tratti di una vera perdita di controllo: solitamente crisi di questo tipo necessitano di un pubblico (l’emozione tende a placarsi se l’adulto distoglie l’attenzione) e potrebbero cessare immediatamente se la richiesta venisse assecondata o se venisse percepita la possibilità di perdere un privilegio. Il bambino potrebbe arrestare la crisi in qualsiasi momento proprio perché é in grado di controllare il proprio corpo, le emozioni e sa essere razionale.

In questo caso la reazione del genitore dovrebbe essere diversa da quella descritta sopra: mantenendo il più possibile un atteggiamento calmo, dovrebbe porre limiti fermi e sottolineare l’inappropriatezza del comportamento. Ignorare le lamentele e i pianti in questi casi può essere davvero difficile, ma è l’unica strada percorribile. L’assecondare la richiesta per sfinimento può avere un vantaggio a breve termine (ristabilire la calma) ma non paga a lungo termine: il capriccio rischia di divenire la modalità prevalente per fare richieste e per ottenerne il soddisfacimento. Al contrario, il non cedere a questo tipo di crisi di collera comporta una diminuzione della loro frequenza: il bambino impara che la strategia è inefficace!

Durante le prossime interazioni con i vostri figli (e non solo, le stesse considerazioni valgono anche per le interazioni adulto-adulto) provate a chiedervi: sto infiammando la parte inferiore o attivando quella superiore? Cosa è più utile fare in questo momento?

Buon lavoro!

Principale riferimento bibliografico

12 strategie rivoluzionarie per favorire lo sviluppo mentale del bambino, Siegel Daniel J., Payne Bryson Tina – Raffaello Cortina Editore

Autore:  Dott.ssa Paola Pesenti Gritti, Psicologa, Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale e Dottore di Ricerca in Psicopatologia dello Sviluppo; illustrazione di Marta Guerreschi.

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