E’ meglio che i bambini abbiano un’agenda fitta di impegni o che passino parte del loro tempo gestendosi autonomamente?
Si colloca all’interno di questo dibattito che anima mamme e papà un recente studio fatto da ricercatori del dipartimento di Psicologia e Neuroscienze dell’Università di Boulder, in Colorado, e pubblicato sulla rivista Frontiers in Psychology.
Questo il risultato: i bambini che trascorrono più tempo dedicandosi ad attività non strutturate sarebbero più capaci di porsi degli obiettivi e di mettere in atto azioni coerenti con il loro raggiungimento; di contro, i bambini che trascorrono più tempo in attività strutturate sarebbero meno capaci di agire in vista di un obiettivo, di prendere decisioni e di regolare autonomamente il proprio comportamento.
Lo studio sembra quindi suggerire, anche se in via del tutto preliminare, che i bambini imparano di più a porsi obiettivi e individuare strategie per il loro raggiungimento quando hanno modo di sperimentare nel proprio tempo libero la responsabilità di decidere cosa fare.
Gli autori hanno valutato 70 bambini di sei-sette anni e hanno chiesto ai loro genitori di monitorare e registrare per una settimana le attività svolte dai loro figli per poter avere a disposizione una serie di informazioni dettagliate sulla base delle quali quantificare il tempo speso in attività strutturate (organizzate e supervisionate da adulti) e non (nelle quali è il bambino a decidere cosa fare e come farlo). Ad esempio, nello studio citato sono considerate attività strutturate lezioni o allenamento in ambito sportivo, lezioni di musica, compiti, partecipazione ad attività di organizzazioni o in ambito religioso, piccoli lavori di casa. Al contrario, rientrano nelle attività non strutturate il gioco libero (da solo o in compagnia) lo sport e la musica al di fuori di lezioni vere e proprie ma come attività scelte e gestite unicamente dal bambino, le feste, le visite a parenti e amici, la lettura, le visite a musei…
Nella discussione dei risultati gli autori dello studio fanno riferimento a quell’insieme variegato di abilità che tecnicamente vengono identificate con l’espressione “Funzioni Esecutive”. Cosa sono le Funzioni Esecutive? In generale possono essere definite come l’insieme di quei processi cognitivi mediante i quali siamo in grado di regolare pensieri e azioni al fine di portare a termine un comportamento finalizzato al raggiungimento di uno scopo. Esse vanno incontro ad un notevole sviluppo durante l’infanzia ed hanno un ruolo fondamentale in molteplici ambiti della vita del bambino e poi dell’adulto.
In generale esse entrano in gioco quando devono essere appresi comportamenti nuovi, quando l’azione richiede una pianificazione e la presa di decisioni, quando l’azione è particolarmente difficile o pericolosa e, in generale, durante tutte quelle attività che richiedono costante monitoraggio.
Lo sviluppo delle funzioni esecutive riveste un ruolo fondamentale poiché consentono al bambino di saper passare flessibilmente da un’attività all’altra, di adattare le proprie strategie, di rimandare la gratificazione, di imparare nuove procedure, di riuscire a raggiungere un obiettivo attraverso una serie di azioni finalizzate. Le funzioni esecutive sono quindi fondamentali in tutti quei contesti nei quali risposte automatiche non consentono un buon funzionamento; esse entrano in gioco proprio quando all’individuo è richiesto di attuare modalità comportamentali nuove in risposta alle circostanze e quindi in tutti i contesti che richiedono apprendimento di nuove competenze. Un buon funzionamento di queste componenti consente di essere in grado di programmare, organizzare, controllare il proprio comportamento e di essere flessibili nell’adattarsi a situazioni nuove.
Nello specifico, secondo quanto suggerito dai risultati dello studio, il tempo trascorso in attività non strutturate inciderebbe su quello che viene definito “self-directed executive functioning”: abilità di individuare, autonomamente e senza sollecitazione da parte dell’adulto, obiettivi e azioni per raggiungerli che, come già accennato, coinvolge necessariamente capacità di pianificazione, di organizzazione e di gestione del tempo. Gli autori riportano il semplice esempio della decisione di mettersi un cappotto prima di uscire senza che il genitore lo suggerisca. Anche questa semplice azione presuppone una buona applicazione delle funzioni esecutive!
Da sottolineare che lo studio individua una correlazione tra funzioni esecutive e quantità di tempo dedicata ad attività non strutturate, che non necessariamente implica una causalità diretta. E’ comunque un ottimo spunto scientificamente fondato all’interno dell’animato dibattito riguardo alla gestione del tempo al di fuori dell’orario scolastico.
Le attività strutturate che vengono proposte ai bambini hanno un indubbio valore (promuovono arricchimento culturale, benessere fisico, socializzazione, rispetto delle regole…) ma non dovrebbero portare ad un’eccessiva riduzione del tempo a disposizione per iniziative scelte e guidate dal bambino: anche il tempo libero insegna!
Sicuramente l’estate è un buon momento nel quale provare ad osservare l’atteggiamento dei bambini durante momenti non strutturati. Sa giocare da solo? Sa scegliere in autonomia un’attività? E’ in grado di trovare strategie? Passa con flessibilità da un’attività all’altra? Riesce ad organizzare il proprio tempo?
Diamo ai bambini la possibilità di decidere cosa fare e come farlo. Se necessario forniamo qualche suggerimento, senza però sostituirci completamente a loro nella scelta delle attività e nella loro gestione.
Per l’articolo completo:
Jane E. Barker, Andrei D. Semenov, Laura Michaelson, Lindsay S. Provan, Hannah R. Snyder and Yuko Munakata (2014) Less-structured time in children’s daily lives predicts self-directed executive functioning, Front. Psychol.
http://journal.frontiersin.org/Journal/10.3389/fpsyg.2014.00593/full
Autore: Dott.ssa Paola Pesenti Gritti, Psicologa, Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale e Dottore di Ricerca in Psicopatologia dello Sviluppo.
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