“Tra stimolo e risposta c’è uno spazio. In quello spazio si trova il nostro potere di scegliere la nostra risposta. Nella nostra risposta risiedono la nostra crescita e la nostra libertà”.
V. Frankl
In quello “spazio” il genitore ha infinite possibilità di sperimentazione e apprendimento. E’ lo spazio in cui sceglie di attuare un determinato comportamento e che gli offre la possibilità di imparare ad essere il genitore che desidera.
Se parliamo di genitori e figli, lo “stimolo” è il comportamento del bambino, ciò che dice, le emozioni che esprime o non esprime. La “risposta” è ciò che il genitore fa di conseguenza. I ruoli, ovviamente, possono essere invertiti.
Spesso le risposte sono “reazioni”, ossia comportamenti non propriamente scelti ma caratterizzati da scarsa consapevolezza e intenzionalità; a volte somigliano a veri e propri riflessi, ossia a reazioni involontarie in risposta ad uno stimolo esterno. Rende bene l’idea l’espressione inglese “knee-jerk reaction” che fa riferimento al riflesso patellare, ossia al quel riflesso per il quale rispondiamo con un’estensione della gamba ad un leggero colpo sotto il ginocchio. Stimolo, reazione. Nessuna scelta, nessuno spazio tra comportamento e ciò che lo scatena.
In alcuni momenti è proprio come se venisse premuto un pulsante di accensione: il pulsante della rabbia e del rimprovero, il pulsante del senso di colpa e delle scuse, il pulsante della paura e del correre in soccorso. Altre volte il meccanismo somiglia di più a quello che fa funzionare le automobiline a carica: carico, carico, carico (di paura, di rabbia, di fastidio, di tristezza, di senso di colpa…) e poi parto a gran velocità in risposta all’emozione, in una direzione, senza nessuna capacità di raggirare gli ostacoli e di rispondere alle contingenze, scontrandomi con ciò che incontro mentre vado dritto per la mia strada.
Se avete letto il post precedente e se avete provato ad osservare il vostro comportamento con sguardo curioso, forse riuscirete ad identificare alcuni esempi che riflettono questo tipo di meccanismo. Se non l’avete già fatto provateci ora!
Spesso la sensazione è quella di non avere alternative, che quella sia l’unica reazione possibile. “In quei momenti sono così arrabbiato che non riesco a non alzare la voce”; oppure, “mi fa così sentire in colpa che alla fine chiedo scusa”; o ancora, “mi prende una paura così forte che non riesco a non intervenire”. Probabilmente in molti casi potremmo completare le espressioni virgolettate: “…anche se so che non serve a niente”, “…anche se capisco che è controproducente”, “…anche se mi rendo conto di peggiorare la situazione”, “…anche se fino a questo momento non ha dato l’esito che desidero”, “…anche se so che non faccio ciò che è meglio per lui”…
Proviamo a fare del “anche se” un punto di partenza e non una conclusione dal tono un po’ rassegnato. Quindi: non serve a nulla o è addirittura controproducente, forse vale la pena trovare un’alternativa.
L’alternativa è possibile perché la sensazione di non poter agire diversamente non corrisponde ad un reale impedimento. La possibilità di scelta esiste sempre, a patto di riuscire a notare quello “spazio” di cui si parla nella citazione iniziale.
Quali sono le emozioni che vi sembra abbiano il potere di fare magicamente sparire la possibilità di scegliere come agire? La rabbia? la frustrazione? La paura?
Quali sono le emozioni che spesso vi portano ad agire in un modo che immediatamente dopo rimpiangete?
Provare a dare una risposta a queste domande vi consentirà di identificare le situazioni da segnalare con un bel cartello di “pericolo”, ossia quei contesti in cui la modalità stimolo-reazione fa da padrone con la sua inflessibilità e scarsa inventiva.
Come è possibile notare lo spazio tra stimolo e risposta? Come si fa ad ampliarlo un pochino per far sì che possa contenere una scelta? Proviamo innanzitutto a definirlo meglio: possiamo identificarlo come un momento in cui possiamo prendere consapevolezza di ciò che sta avvenendo dentro e fuori di noi e notare l’impulso ad agire in un certo modo. Se torniamo alla metafora dell’improvvisazione teatrale usata nel post precedente, lo “spazio” è quel brevissimo lasso di tempo in cui l’attore osserva e ascolta i colleghi, necessariamente accoglie quanto viene da loro proposto e ne fa il suo punto di partenza per scegliere l’azione successiva tenendo ben in mente gli obiettivi: creare una buona scena teatrale perché un pubblico ha pagato per vederla. Osserva e sceglie in base agli obiettivi.
L’abilità di base in tutto questo è la capacità di prestare attenzione a ciò che avviene momento per momento. E’ questo l’aspetto che avevo in mente quando ho scelto il titolo di questo post: allenare la capacità di essere presente. Essere “presente” significata dedicare attenzione piena a quel che accade, un’attenzione aperta e curiosa, un’attenzione che consenta di notare gli elementi di novità di ogni interazione. Solo se imparo ad essere presente e quindi ad essere consapevole di ciò che avviene momento per momento saprò notare che esiste uno spazio tra stimolo e risposta, osserverò in diretta cosa mi sta inducendo ad agire in un certo modo e avrò la possibilità di accorgermi che magari esiste un’azione alternativa più utile.
Essere pienamente presenti non è però quello che accade per la maggior parte del nostro tempo…
Vi è mai capitato di stare in più “posti” contemporaneamente? Al lavoro con la mente a casa o a casa con la mente al lavoro, a cena in famiglia con la mente rivolta a ciò che è successo al mattino in ufficio, al parco con i bambini con la mente proiettata a pensare come incastrare gli impegni del giorno dopo. La mente ha la straordinaria capacità di proiettarci avanti e indietro nel tempo, di farci ricordare cose avvenute o di farci preoccupare per ciò che deve ancora succedere. Se ora, solo per un attimo, provate a fermarvi a notare i pensieri che inevitabilmente ad un certo punto attraverseranno la vostra mente, potrete notare come spessissimo essi siano rivolti al passato o al futuro. Possiamo immaginarci la nostra mente come una radio sempre accesa che commenta e giudica continuamente ciò che accade, ci ricorda ciò che è accaduto o che accadrà, catturando la nostra attenzione, prendendoci all’amo e portandoci via da ciò che stiamo vivendo nel momento presente.
Che implicazioni ha tutto questo? Facciamo molte cose mentre la nostra mente è altrove. Non solo, facciamo molte cose mentre la nostra mente è altrove e senza rendercene conto.
Provate a ripensare all’ultima volta in cui siete stati veramente “presenti” durante un’interazione con vostro figlio e rispondete a queste domande:
- Dove eravate e cosa stavate facendo? Riuscireste a descrivere con precisione le sue espressioni, la sua voce, i suoi movimenti?
- Quanto spesso vi accade di prestare attenzione piena durante le interazioni con i vostri figli?
- Quali sono i pensieri e quali le emozioni che vi distraggono maggiormente e influenzano le vostre reazioni quando siete con loro?
I più piccoli sono molto più bravi a prestare attenzione a ciò che stanno facendo momento per momento. E’ un’abilità che si perde un po’ crescendo, messa in un angolino dal prevalere del pensiero. Mano a mano che che diventiamo grandi passiamo infatti sempre più tempo dentro la nostra testa e meno nella vita reale. Guardate l’immagine e, in particolare, soffermatevi sul contenuto dei fumetti: quante cose passano nella mente della mamma? Tante. In quella del bimbo solo una: la mamma davanti a lui con la palla e pronta a tirare.
In una situazione come questa è molto probabile che i comportamenti della mamma siano influenzati non solo da ciò che fa il bambino, ma anche da tutto ciò che è rappresentato nel suo fumetto.
Ogni singola azione può essere vissuta “distrattamente” o con piena consapevolezza. L’elevato numero di richieste che ogni giornata ci pone accentua sempre di più la necessità di essere multitasking, ossia di saper svolgere contemporaneamente più attività con un’inevitabile frammentazione dell’attenzione e delle risorse. Vale però la pena di provare a rallentare, almeno in alcuni momenti, a partire da quelli che potenzialmente racchiudono una ricchezza che uno sguardo superficiale rischia di non riuscire a cogliere. Provate a trovare un momento, anche solo pochi minuti, nel quale provare a dedicare attenzione piena a vostro figlio (cercando di ridurre la quantità di cose presenti nel vostro fumetto). Potete giocare con lui, leggere, disegnare, costruire qualcosa o anche cucinare con lui. Potete anche mettervi in un angolino ad osservarlo, proprio come se lo vedeste per la prima volta, con sguardo curioso, attento ed emozionato. Osservate come si muove, le sue espressioni, ascoltate ciò che dice. “Sintonizzatevi” con lui come se fosse l’unico canale degno di attenzione in quel momento. Se la mente vi suggerisce qualche interessante distrazione (ossia se cerca disperatamente di arricchire il vostro fumetto), ringraziatela per il gentile intervento e riportate l’attenzione al bambino. Notate che effetto fa dedicare questo speciale tipo di attenzione e provate a rendere questo esercizio una piacevole ed utile abitudine.
Proviamo a fare il punto: perché è utile allenare la capacità di essere “presenti”? Perché essere pienamente presenti arricchisce l’esperienza impreziosendo le interazioni di dettagli e sfumature, e perché essere presenti consente di sviluppare una maggiore abilità di scegliere la risposta più adeguata nelle diverse situazioni, di notare ciò che funziona e cosa no. Essere presenti è condizione necessaria al cambiamento. E’ una capacità che deve essere allenata in quanto presuppone il divenire sempre più abili nel dirigere intenzionalmente l’attenzione verso ciò che si ritiene prioritario in un dato momento. Prestare attenzione piena non significa diventare immuni dalle distrazioni, ma divenire capaci di notarle per poi dirigere nuovamente l’attenzione verso ciò che più conta. Le distrazioni possono essere interne (pensieri, emozioni, sensazioni fisiche) o esterne (tutto ciò che avviene intorno a noi) e possono essere più o meno insistenti a seconda delle circostanze.
Tutto ciò vale solo per i genitori? Assolutamente no. L’obiettivo di questo ed altri post è quello di proporre contenuti che possano costituire spunti (per la riflessione e, mi auguro, per l’azione) per tutti coloro che, in modi e con ruoli diversi, hanno a che fare con i più piccoli o che, in generale, desiderano regalare un pizzico di novità al proprio modo di agire.
Principale riferimento bibliografico
The joy of parenting, Lisa W. Coyne, Amy R. Murrel – New Harbinger Publications
Autore: Dott.ssa Paola Pesenti Gritti, Psicologa, Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale e Dottore di Ricerca in Psicopatologia dello Sviluppo; Illustrazione di Marta Guerreschi.
Gli specialisti offrono consulenza clinica, valutazioni diagnostiche, percorsi terapeutici e di formazione finalizzati a modificare comportamenti che generano disagio e promuovere uno stile di vita più soddisfacente. Psych-e propone interventi basati sull’approccio Cognitivo-Comportamentale rivolti all’adulto, all’adolescente, al bambino e alla famiglia.