Dal singolare al plurale: sapersi vendere, a fin di bene

Che cosa significa contribuire in modo concreto al sostegno delle fasce deboli della società? Sarò sincero: non ne ho la minima idea. Nato e cresciuto a Milano, ho trascorso la mia giovinezza nell’agio medio-borghese: divertimento, studio (perché ero un adolescente “serio”) e prospettive di realizzazione personale e professionale. In molti, di certo, si rispecchieranno in questa descrizione. E come tutti i giovani ambiziosi che si rispettino, sono sempre stato (e sono tuttora) un individualista.

Investire sempre su di sé, non buttare mai via il proprio tempo. Intendiamoci: non credo sia un male essere individualisti. È solo un dato di fatto. Quindi, quando un amico di Sedicimedia APS mi ha chiesto di contribuire, in qualità di volontario, alla raccolta fondi per il progetto “Food4Restart” in occasione dell’Artigiano in Fiera 2022, ho iniziato a chiedermi che cosa avrei appreso dall’esperienza. È doveroso ripeterlo. Un giovane individualista decide di dedicare il proprio tempo a un’attività, solo dopo un’attenta analisi dei costi e dei benefici. Un costo per me: interagire con le persone. Non ho mai amato farlo. Un beneficio per me: convincere le persone della bontà delle mie argomentazioni, dei miei progetti, dei miei sogni. Vorrei davvero imparare a farlo. La vera domanda è: vuoi sedurre qualcuno? Se non spendi del tempo a interagire con quel qualcuno, non ti guadagnerai mai la possibilità di convincerlo. La mia partecipazione alla raccolta fondi per Sedicimedia APS è consistita proprio in questo: convincere decine di avventori ad acquistare prodotti provenienti dalle zone terremotate del Centro Italia. Dal kit per fare l’Amatriciana (quella originale!) a una bottiglia di Rosso Piceno, passando per vasetti di miele, confetture e altri prodotti enogastronomici. Il ricavato avrebbe contribuito a sostenere le attività dei produttori locali.

ARTIGIANO IN FIERA 2022

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E come è andata? Per prima cosa, parliamo delle tipologie di avventori che mi è capitato di incontrare. Ho scoperto che interagire con gli sconosciuti significa imparare parecchio sulla natura umana. A questo proposito, ci tengo a dire che la maggior parte degli avventori, a una fiera, si interessa a ciò che hai da offrire solo dopo che glielo hai offerto. Questa è gente che vaga più o meno a caso fra uno stand e l’altro, senza sapere che cosa sta facendo e che cosa sta cercando. Poi tu ne richiami l’attenzione, e all’improvviso vuole proprio ciò che hai da offrire. Prima il buio, poi la luce. Noi umani, il più delle volte, nella vita agiamo proprio così. Poi c’è la categoria degli indifferenti. Si accorgono benissimo di te, ma con la coda dell’occhio. Non si fermano mai. Proseguono nel loro incedere come se nulla fosse, senza accelerare il passo. La loro espressione facciale non muta di una virgola. Per non parlare dei diffidenti. Ti osservano come se volessi truffarli. Ti pongono una serie di domande, con tono sospettoso, per capire se stai cercando di rubargli i soldi o meno. Dichiarano, allarmati, di non fidarsi. E se ne vanno. Ma i soggetti psicologici più interessanti appartengono di certo ad altre due categorie, fra loro speculari: gli appassionati e gli angosciati. Dico speculari perché sia gli uni che gli altri sono del tutto convinti che donare sia bene. Ma se gli appassionati vogliono donare, gli angosciati vogliono non donare. L’appassionato accoglie la tua richiesta d’aiuto con slancio fisico ed emotivo. Con un sorriso caldo e confortevole, ti apre in modo incondizionato il suo cuore. Nessun ostacolo si frappone fra te e questa persona. Ha già sposato la tua causa. L’angosciato deve invece fare i conti con il riaffiorare di un ricordo. C’era stato un momento, ora sepolto nel suo passato, nel quale si era convinto che donare fosse bene. Poi però aveva rimosso la cosa. La tua apparizione riaccende in lui il conflitto dimenticato: sa che dovrebbe donare, perché in fondo sente che è un atto necessario, ma sa anche di non volerlo fare, come testimonia la sua condotta di vita fino a quel momento. L’angoscia crescente sul suo volto si manifesta in contorsioni facciali più o meno marcate, atteggiamenti del corpo contraddittori, frasi sconnesse. Non biasimo nessuna di queste categorie. L’atto di donare è più complesso dell’atto di chiedere una donazione. Chi cerca di raccogliere fondi sa di essere in buona fede. È convinto che la sua causa valga qualcosa. Chi si appresta a donare invece, il più delle volte, può fare solo un atto di fede. Interagendo con tutti questi avventori, è un po’ come se mi fossi specchiato in loro. Mantenendo la distanza dell’osservatore, ho cercato di capire come avrei agito io al loro posto. E lo ammetto senza vergogna.

Prima di quest’esperienza, mi sarei tranquillamente collocato nella categoria dell’avventore “diffidente-angosciato”, talvolta “indifferente”. Oggi mi chiedo: quando mi ritroverò nella situazione di poter donare di nuovo, che tipo di persona sarò? Per quanto riguarda le mie abilità di interazione con il prossimo, i vuoti irrisolti sembrano pochi. Il mio amico di Sedicimedia APS sostiene che questo tuffo nella socialità ha ampliato notevolmente i miei orizzonti d’umanità. Qualcun altro mi ha addirittura detto che sono bravo a convincere le persone. Di certo, la raccolta fondi ha raggiunto gli obiettivi sperati, e questo è un beneficio che non avevo considerato.

D’altronde resto, ancora, un giovane borghese individualista. Se non altro, ora so che mi so vendere. Soprattutto a fin di bene.

Autore: Simone Redaelli

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