Come abbiamo detto in uno dei nostri post precedenti, in cui abbiamo parlato dei fattori di rischio e dei campanelli d’allarme dei disturbi dell’apprendimento (per approfondire leggi “Mio figlio ha un DSA? Fattori di rischio e campanelli d’allarme”), è ormai dimostrato e comunemente accettato all’interno della comunità scientifica che i DSA (e tra questi la dislessia in modo particolare) si innestano su una predisposizione dell’individuo relativa a differenze neurobiologiche.
Questo fa si che la dislessia e i DSA debbano essere concepiti come una caratteristica intrinseca della persona, di cui sono state dimostrate la familiarità (cioè la maggiore probabilità che la difficoltà si manifesti in bambini appartenenti a famiglie in cui altre persone l’avevano evidenziata) e i correlati neurobiologici (ad esempio un particolare funzionamento di alcune aree cerebrali deputate alla lettura).
Il fatto che si parli di una predisposizione, tuttavia, non implica che questa condizione non possa essere attenuata attraverso attività specifiche, o che le conseguenze del disturbo non possano essere ridotte attraverso la creazione di un’idonea rete di aiuto. In condizioni ottimali, un giovane con DSA può riuscire a diminuire molto l’impatto delle conseguenze della sua difficoltà e raggiungere i massimi livelli intellettuali e professionali, in rapporto alle proprie potenzialità intellettive di base. Per permettere che le condizioni ottimali si creino, bisogna agire su due fronti: il primo è garantire l’accesso all’istruzione, ossia il raggiungimento degli obbiettivi scolastici formativi adeguati all’età, alla classe frequentata e alle capacità cognitive del bambino, facendo in modo che il disturbo limiti il meno possibile gli apprendimenti scolastici. Questo aspetto, come abbiamo visto parlando della legge 170/2010, è principalmente in carico alla scuola, con l’adozione da parte degli insegnanti di strategie compensative e dispensative appropriate sintetizzate nel Piano Didattico Personalizzato. Sull’altro fronte è auspicabile che si agisca il più precocemente possibile in modo da ridurre le difficoltà e potenziare le carenze nelle abilità specifiche, attraverso trattamenti riabilitativi mirati e di dimostrata efficacia.
In questo post parleremo brevemente dei modi in cui è possibile intervenire sui DSA, ed in particolare sulla dislessia, ovvero la presenza di difficoltà specifiche nella lettura (lentezza e/o scorrettezza). Le considerazioni che faremo sono basate non solo sui riscontri ottenuti attraverso la pratica clinica, ma anche sui risultati di studi sperimentali che hanno valutato l’efficacia di diversi tipi di trattamenti. I motivi per cui ci focalizzeremo sulla dislessia sono principalmente due. Prima di tutto, la dislessia e le difficoltà di lettura sono le condizioni maggiormente studiate e sulle quali c’è maggiore accordo tra gli esperti rispetto ai modelli teorici che spiegano l’insorgenza del disturbo e ai trattamenti più efficaci. Il secondo motivo risiede nel fatto che, poiché i meccanismi che sottostanno l’acquisizione della lettura e della scrittura si intersecano e sono fortemente collegati, nella maggior parte dei casi accade che un trattamento di potenziamento delle abilità di lettura migliori anche la correttezza ortografica, spesso prima ancora di poter osservare dei risultati sulla lettura!
Il trattamento specifico della dislessia può essere di vari tipi, a seconda delle caratteristiche del disturbo e delle tappe evolutive di apprendimento raggiunte dal bambino. In generale tuttavia, è stato visto che le metodiche più efficaci sono quelle che fanno riferimento alle tappe di acquisizione della lettura ed in particolare quello che viene chiamato trattamento sublessicale.
Ma che cosa si intende per efficace? Cosa significa che un trattamento migliora le abilità di lettura?
Per imparare a leggere, tutti noi attraversiamo, alle scuole elementari, il medesimo percorso evolutivo: prima impariamo a riconoscere le singole letterine che compongono le parole della lingua italiana (i grafemi) e ad associare a ciascuna un suono (fonema); quasi contemporaneamente, impariamo a riconoscere e associare ai suoni corrispondenti parti sempre più ampie delle parole scritte, i gruppi di lettere come le sillabe, i suffissi e i morfemi. Con l’esposizione alla lettura, ossia con la pratica, pian piano questi collegamenti tra gruppi di lettere che formano le parole e suoni corrispondenti si rafforzano nel nostro cervello e diventano sempre più automatici. Le parole con cui siamo venuti in contatto, che abbiamo già letto molte volte e per le quali abbiamo automatizzato la corrispondenza tra segno scritto e suono, vanno a formare la nostra biblioteca lessicale, ossia una sorta di magazzino in cui ciascuno di noi mantiene il legame ormai automatizzato tra le parole scritte familiari e il suono corrispondente, che diventa così rapidamente recuperabile durante la lettura. Nel giro di pochissimo tempo diventiamo così dei lettori sempre più veloci e corretti.
Il sistema neuropsicologico che fa funzionare il processo di apprendimento della lettura viene definito “sistema fonologico” ed è naturalmente presente in tutti, sia nei bambini con disturbo della lettura che nei normolettori. Tuttavia, nei bambini dislessici il sistema fonologico non è adeguatamente predisposto a questa funzione; accade così che il processo di formazione e automatizzazione dei collegamenti tra suono e parola scritta, così come il loro recupero durante la lettura, si verifichi con molta fatica, rendendo i bambini con dislessia molto più lenti e scorretti rispetto ai loro coetanei e all’esperienza ricevuta fino a quel momento. La buona notizia è che tale “insufficienza” su base strutturale (neuropsicologica) può essere parzialmente superata facilitando i processi cognitivi implicati nella lettura: il sistema può essere allenato a riconoscere la sillaba e altri gruppi di lettere fino al riconoscimento di parole intere, per associarle ai suoni corrispondenti, attraverso un’esposizione prolungata e ripetuta, che porta nel tempo a una maggiore velocità e correttezza.
Le ricerche che hanno studiato come le abilità di lettura della lingua evolvono nel tempo, confrontando gruppi di normolettori con gruppi di bambini con dislessia, hanno osservato che in entrambi i gruppi si assiste ad un miglioramento delle abilità di lettura dalla scuola primaria al termine della scuola secondaria di primo grado, ed in particolare ad un aumento della velocità, la quale sta ad indicare una maggior padronanza del processo di decodifica. Tra i due gruppi c’è però una differenza significativa che aumenta esponenzialmente con il procedere del percorso scolastico: anche i bambini dislessici migliorano nel tempo (senza aver partecipato a nessun programma di potenziamento), ma lo fanno in modo molto più lento dei loro coetanei, così che all’aumentare delle richieste scolastiche cresce sempre di più il divario con i compagni e il rischio creare lacune nell’apprendimento e rifiuto nei confronti della scuola. Per questo motivo un trattamento viene definito efficace quando non solo migliora le capacità di lettura, ma lo fa più di quanto non ci si aspetterebbe seguendo l’evoluzione “naturale” dell’abilità.
I training di potenziamento sublessicale sono costruiti con l’obbiettivo di rafforzare il sistema fonologico nei bambini con difficoltà di lettura attraverso esercizi specifici, favorendo l’automatizzazione del processo di decodifica e aumentando la velocità in lettura, senza peggiorare i livelli di accuratezza.
Trattamenti di questo tipo sono ormai utilizzati da tempo dai professionisti che si occupano di DSA e si possono svolgere attraverso materiale cartaceo o programmi computerizzati. Poiché, come abbiamo detto, il trattamento sublessicale fa riferimento alle fasi di acquisizione della lettura, è particolarmente indicato e presenta la massima efficacia se viene messo in atto durante la scuola primaria, quando ancora il processo di apprendimento della lettura non si è stabilizzato, gli errori non si sono consolidati ed è possibile avere un buon margine di miglioramento. Training efficaci richiedono un lavoro abbastanza intensivo, almeno 5-6 ore al mese, con sessioni di riabilitazione che possono essere potenziate da un lavoro domiciliare quotidiano. Inoltre, è possibile ottenere dei buoni cambiamenti dopo 3-5 mesi, osservando sia un miglioramento della lettura (che diventa più rapida e corretta) che una riduzione degli errori in scrittura.
Naturalmente, come abbiamo detto molte volte, ogni bambino è diverso e il disturbo dell’apprendimento può presentare gravità e pervasività differenti, a seconda di quanto è compromessa la prestazione rispetto ai coetanei, quanti domini dell’apprendimento sono interessati ed in che modo sono coinvolti fattori emotivo-relazionali. Per questo è importante che ogni intervento si sviluppi con l’aiuto di un professionista con una formazione specifica, in modo tale da garantire la personalizzazione e l’adattamento del training al bisogno specifico del bambino e della famiglia.
Un altro aspetto fondamentale che influenza l’efficacia del trattamento riguarda il livello di motivazione: non è infatti scontato che l’alunno con difficoltà di apprendimento sia disposto a farsi aiutare nei modi da noi desiderati. Bisogna dunque valutare il grado di consapevolezza delle proprie difficoltà e favorire nel bambino la comprensione del fatto che, sebbene la dislessia non sia una condizione del tutto eliminabile, esistono dei percorsi efficaci che possono rendere le difficoltà meno “ingombranti”. Tali percorsi prevedono sia l’aiuto delle figure adulte di riferimento che l’impegno e la collaborazione del bambino stesso. Per questo motivo, soprattutto nelle fasi iniziali dell’intervento, è importante che si instauri nell’alunno la convinzione di avere anche dentro di sé i mezzi per migliorarsi.
Infine, è essenziale la possibilità di ottenere un supporto di rete che coinvolga tutte le risorse che gravitano intorno al bambino: se si dispone di una buona collaborazione da parte dei genitori, degli insegnanti e dei pari, si facilita la costruzione di una presa in carico globale, allargata a tutti i contesti di vita, che agiscono in modo coerente e armonico nei suoi confronti, limitando e prevenendo l’insorgere vissuti di confusione e frustrazione.
Seguitemi! Nel prossimo post parleremo di alcuni consigli per genitori su come aiutare il bambino con difficoltà di letto-scrittura anche a casa, facilitando il rafforzamento dell’abilità di lettura con attività specifiche che possono essere svolte nella vita di tutti i giorni.
Matilde
Autore: Dott.ssa Matilde Taddei, Psicologa Clinica – Dottore di Ricerca in Psicopatologia dello Sviluppo – Specializzanda Psicoterapia.
Gli specialisti offrono consulenza clinica, valutazioni diagnostiche, percorsi terapeutici e di formazione finalizzati a modificare comportamenti che generano disagio e promuovere uno stile di vita più soddisfacente. Psych-e propone interventi basati sull’approccio Cognitivo-Comportamentale rivolti all’adulto, all’adolescente, al bambino e alla famiglia.