Family Life

Difficoltà a scuola non vuol dire necessariamente DSA

Nel post introduttivo di questa rubrica, abbiamo visto come le difficoltà scolastiche siano davvero molto comuni, e su questo c’è accordo tra tutte le figure adulte che si prendono cura dei bambini: genitori, insegnanti, professionisti. Il fatto che tali difficoltà siano frequenti, però, non significa che ci sia chiarezza sui fattori da cui hanno origine e, di conseguenza, sul modo in cui affrontarle. Al contrario, non è facile comprendere i fattori che hanno contribuito allo sviluppo di una situazione problematica che riguarda la scuola: le motivazioni sottostanti possono essere diverse e raramente un solo aspetto è sufficiente per spiegare come mai il bambino non riesce ad ottenere i risultati sperati.

La prima utile da fare, se vogliamo comprendere il concetto di “Disturbo Specifico dell’Apprendimento” (DSA), è distinguerlo dalle generiche “difficoltà di apprendimento”.

Le difficoltà di apprendimento sono rappresentate da qualsiasi difficoltà incontrata da uno studente durante il suo percorso scolastico. Tutti, in diversa misura, abbiamo sperimentato problematiche di questo tipo, poiché fanno parte dei processi fisiologici di apprendimento. Le cause possono essere davvero molte: fattori emotivi, motivazionali, difficoltà di socializzazione, appartenenza a minoranze linguistiche o culturali, caratteristiche della famiglia. Per fare alcuni esempi, in questi casi possono rientrare gli alunni che hanno difficoltà a scuola legate a problemi relazionali con i compagni di classe o con un’ insegnante, i bambini con una storia di migrazione che vengono istruiti in una lingua diversa da quella parlata dai genitori, i bambini che tendono a preoccuparsi troppo delle performance scolastiche o che stanno affrontando un avvenimento stressante (trasferimenti, lutti..). Questi, e molti altri, sono fattori che possono motivare la presenza di difficoltà a scuola, anche in assenza di un DSA. Tornando indietro con la memoria, tutti ci ricorderemo di periodi più o meno lunghi in cui abbiamo fatto più fatica del solito a studiare, fare i compiti, apprendere, durante i quali la scuola era l’ultimo posto che avremmo voluto frequentare!

Bene, le difficoltà vissute da un bambino con DSA sono qualcosa di diverso: con il termine DSA si indica infatti di una serie di disturbi, che possono presentarsi in associazione oppure singolarmente in uno stesso bambino, che ostacolano l’acquisizione e l’uso delle abilità strumentali all’apprendimento scolastico, abilità che la maggior parte degli alunni conquista senza sforzo. Si parla di abilità strumentali perché si tratta di abilità che servono per imparare, studiare, istruirsi, sono cioè strumenti indispensabili per l’apprendimento scolastico: la lettura, la scrittura e le abilità matematiche.

Quali sono i DSA? Vediamo come si classificano secondo i manuali più utilizzati da medici e psicologi in Italia e nel mondo:

La Dislessia, Disgrafia, Disortografia e Discalculia possono manifestarsi sia isolatamente (ma ciò avviene in situazioni abbastanza rare) che, più frequentemente, in associazione tra loro o presenti tutte insieme nel bambino.

Cerchiamo adesso di capire meglio quali sono le caratteristiche dei DSA, non solo per imparare a conoscerli ed identificarli, distinguendoli da altre difficoltà negli apprendimenti, ma anche per provare a comprendere meglio quale sia l’esperienza soggettiva di un bambino con un DSA. Possiamo identificare tre caratteristiche principali che accomunano questi disturbi:

  1. Nel caso dei DSA le difficoltà sono isolate e circoscritte, quindi specifiche, legate ad uno (o più) aspetti ben identificabili dei diversi domini degli apprendimenti (la lettura, la scrittura, la matematica). Questa caratteristica porta ad osservare molti casi in cui è presente un DSA in assenza di altre difficoltà: bambini intelligenti, adeguati sotto tutti gli aspetti della loro vita e del loro funzionamento (con gli amici, nello sport, a casa con i fratelli..) mostrano una fatica solo in classe di fronte a un testo scritto. Un quadro di questo tipo porta spesso l’adulto, in una fase iniziale di riconoscimento del disturbo, ad attribuire le difficoltà del bambino a pigrizia, svogliatezza e mancanza di impegno. “…quando è ora di giocare sei sempre pronto, mentre adesso che devi leggere…”, il comportamento del bambino suona proprio come il classico capriccio e il genitore è portato a dare la spiegazione più semplice: la fatica che mio figlio mostra a scuola è dovuta alla poca voglia di applicarsi. In molti casi il bambino avere davvero una perdita di motivazione e interesse per lo studio non motivata da un DSA: in tal caso la domanda da porsi è “come mai ha perso interesse?”, interrogandosi sulla presenza di uno o più dei fattori, descritti all’inizio del post, che potrebbero spiegare una generica difficoltà di apprendimento. In altre situazioni, invece, la specificità del problema può essere il primo “campanello d’allarme” del fatto c’è bisogno di un approfondimento specifico, perché la difficoltà potrebbe nascondere qualcosa di più di svogliatezza e mancanza di impegno. C’è, però, una terza possibilità, ovvero un bambino potrebbe presentare un quadro compatibile con DSA e contemporaneamente sperimentare una situazione emotiva, relazionale, familiare, culturale che rende di per sé difficoltoso l’apprendimento. In una situazione di questo tipo diventa ancora più importante definire quanto le difficoltà siano specifiche, circoscritte e non attribuibili ad altri fattori, come spieghiamo subito meglio al punto 2.
  2. Nel caso dei DSA le difficoltà non devono essere il risultato di altre condizioni e influenze, come un livello scolastico globale non adeguato all’età, uno sviluppo intellettivo sotto la norma, la presenza di deficit sensoriali. Significa che quando la difficoltà nella lettura, scrittura o matematica può essere motivata da un altro fattore, non è possibile parlare di DSA. Banalmente, se è presente una difficoltà nella lettura in un bambino con un difetto di vista, prima di attribuire le difficoltà ad un DSA, è necessario assicurarsi che esse rimangano anche dopo aver corretto il deficit sensoriale (in questo caso, verificando semplicemente se è presente anche quando il bambino porta gli occhiali).
  3. Le difficoltà causate da un DSA sono intrinseche all’individuo. Quest’ultima caratteristica è anche la più importante per capire il punto di vista dei bambini. Il fatto che la difficoltà sia intrinseca significa che è connaturata, propria del bambino, che non è dovuta ad una scelta, alla volontà o a fattori esterni. Alla base dei DSA ci sono infatti specifici processi neuropsicologici, associati al funzionamento di alcune aree del nostro cervello, che risultano in parte alterati. Capire questo aspetto è molto importante perché ci aiuta a comprendere che le abilità di lettura o scrittura del bambino con un DSA non possono essere modificate facendo leva sulla “forza di volontà”. Un alunno con dislessia non può leggere più correttamente se lo si incoraggia a fare attenzione e “sforzarsi” di essere corretto, allo stesso modo in cui una persona miope non può vedere in modo nitido un piccolo oggetto lontano “sforzandosi”, può farlo solo indossando gli occhiali. Anzi, più si richiede al bambino con DSA di fare uno sforzo rispetto alla propria difficoltà, più egli è costretto a mettere in gioco una gran quantità di energie senza ottenere i risultati sperati, sperimentando vissuti di grande stanchezza e frustrazione.

A questo punto potrebbe sorgere la domanda: ma quindi se mio figlio è dislessico la sua lettura non potrà mai migliorare? Non toccherà mai più un libro in vita sua? La risposta, per fortuna, è NON E’ DETTO! Numerosi studi clinici hanno indagato come si evolvono i DSA nel corso dello sviluppo e quali sono i tempi e le modalità di intervento più efficaci nell’influenzare positivamente tale evoluzione. Rispetto all’evolversi della difficoltà, come abbiamo spiegato essa è intrinseca all’individuo, è come una caratteristica propria, che emerge in infanzia, in contesto scolastico, di solito durante i primi anni della scuola primaria (anche se è possibile notare dei “segnali” fin dalla scuola materna) e accompagna la persona fino all’età adulta. Crescendo, non ci si può liberare completamente delle difficoltà, ma è possibile rendere la fatica meno ingombrante e invalidante ai fini dell’ apprendimento. I bambini con DSA possono rafforzare le loro capacità di leggere e scrivere, potenziare il metodo di studio, riuscire ad andare avanti nella loro carriera scolastica e imparare a usare la lettura, la scrittura e le abilità aritmetiche come strumento di apprendimento.

Per dar loro questa possibilità non bisogna, però, agire a livello delle abilità complesse, facendoli esercitare con la lettura ad alta voce di brani scolastici, aumentare il numero di frasi da scrivere e copiare o il numero delle operazioni. La soluzione è costruire un programma di potenziamento molto specifico, personalizzato rispetto all’età e al tipo di disturbo, volto a rafforzare i processi neuropsicologici sottostanti le abilità di letto-scrittura e dare strumenti per un metodo di studio efficace, cercando contemporaneamente, in contesto scolastico, di dispensare l’alunno da fatiche che non aiutano l’apprendimento.

Come? Seguitemi, affronteremo anche questo aspetto nei prossimi post.

A presto!

Matilde

Autore:  Dott.ssa Matilde Taddei, Psicologa Clinica – Dottore di Ricerca in Psicopatologia dello Sviluppo – Specializzanda Psicoterapia.

Psych-e è un gruppo di Psicologi e Psicoterapeuti che hanno pensato di unire le proprie professionalità sotto un unico nome al fine di offrire e promuovere un servizio di qualità che sappia rispondere alle diverse richieste dell’utenza.
Gli specialisti offrono consulenza clinica, valutazioni diagnostiche, percorsi terapeutici e di formazione finalizzati a modificare comportamenti che generano disagio e promuovere uno stile di vita più soddisfacente. Psych-e propone interventi basati sull’approccio Cognitivo-Comportamentale rivolti all’adulto, all’adolescente, al bambino e alla famiglia.

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